Continuiamo con le visite alle cantine salentine: dopo una realtà biodinamica e una di grandi dimensioni, passiamo alla scoperta di una di quelle aziende famigliari caratterizzata da una storia di sacrifici e di successo, che vale la pena raccontare.
Si tratta dell’Azienda Michele Calò e Figli di Tuglie (LE), nel cuore del Salento. Nasce nel 1954, fondata da Michele Calò, prematuramente scomparso qualche anno fa.
I suoi vini furono anche chiamati: “i vini del minatore”.
Infatti negli anni dell’immediato dopoguerra la crisi lo spinse ad emigrare in Francia, al pari di tanti altri connazionali, per lavorare nelle miniere. Raggiunto un decente gruzzoletto decise di investirlo nelle terre dove era nato, nella produzione e commercializzazione del vino. Agli inizi, il suo principale mercato era la Lombardia, Milano e il suo hinterland, dove vendeva il vino sfuso, proprio o acquistato da terzi.
A quei tempi, nella lontana Milano, il primitivo, il negroamaro o l’aglianico erano anche un modo per far sentire un po’ più a casa tanti emigrati dal Sud.
Oggi l’azienda è retta dai figli Giovanni e Fernando, produce circa 150.000 bottiglie/anno a fronte di una quarantina di ettari vitati. Giovanni, che con il suo simpatico accento meneghino, ci dice di essere nato in un’osteria a Milano, ci accompagna durante la visita insieme a Marco, il cantiniere.
Oggi il loro mercato di riferimento è Italia e Puglia, anche se sono presenti su diversi mercati esteri.
Dei quaranta ettari, gli appezzamenti si trovano su terreni di diversa tipologia e le viti sono principalmente allevate con il sistema tradizionale ad alberello. Troviamo sia terra rossa mista a sabbia, a medio impasto, nelle vigne più vicine al mare, in grado di dare finezza e mineralità ai vini, mentre troviamo terreni calcareo-argillosi verso l’interno, in grado da donare maggiore struttura e profumi.
La loro produzione di vini prevede due rosati: Mjere Rosato e Cerasa, entrambi Salento Rosato IGP; quattro rossi: Grecantico, Mjere Rosso e Primiter, Salento Rosso IGP e Spano, Salento Rosso Riserva IGP, prodotto solo nelle annate migliori; due bianchi: Mjere Bianco, Salento Bianco IGP e Stella Tullie, Moscato IGP, passito a base di Moscato.
Una nota sul nome “Mjere” che è stato scelto poichè deriva dal latino “Merum”, cioè “vino”, che poi è anche il modo in cui dialettalmente nella zona è indicato il vino stesso.
Il rosato, da uve negramaro, è un vino tipico del Salento: in questa zona viene usato come un’alternativa più leggera al rosso, che si abbina bene non solo ai piatti a base di pesce, ma anche di terra.
Inoltre il Salento non è terra troppo vocata per i bianchi, sebbene qualche eccezione esista.
Michele Calò e Figli producono un bianco secco, il Mjere Bianco, da Verdeca al 90% e Chardonnay 10%.
L’esempio della verdeca è un buon mezzo per capire perchè qui la produzione dei bianchi sia piuttosto problematica. In primo luogo, occorre tenere presente l’ambiente pedoclimatico locale: qui la possibilità di “bruciare” le uve è molto concreta, perdendo in acidità e profumi. Inoltre nel caso specifico della verdeca, questa ha la buccia molto sottile.
Il caldo diurno favorisce la maturazione, ma la notte, non trovandoci in una zona collinare fresca e ventosa, fa comunque caldo, per cui la possibilità che l’eccessiva umidità ristagni sull’acino provocando marciumi è molto elevata.
Primitivo e negroamaro non soffrono di questi problemi avendo la buccia più spessa.
Soffermiamoci sulla produzione dei rosati, che sono particolarmente curati dall’azienda: Mjere Rosato (90% Negroamaro e 10% Malvasia nera) e Cerasa (Negroamaro 100%). Per la vinificazione usano contenitori in acciaio vetrificato, che in azienda preferiscono all’acciaio. In cantina hanno due gruppi di contenitori, da 100 ettolitri, uno dei quali ha al proprio interno delle piastre di refrigerazione, per controllare la temperatura di fermentazione. La vinificazione di un rosato può avvenire per pressatura soffice, con una resa attorno al 50%, ma Michele Calò e Figli usano la tecnica detta “a lacrima” (tecnicamente “lisciviazione”).
Le uve vengono diraspate e accumulate nel primo gruppo di contenitori in cemento, dove vengono lasciate per un tempo di 16/18 ore, a seconda dell’annata, della maturazione e del colore. Si crea una pasta solida di acini, la cui massa esercita una delicatissima pressatura, che fa raccogliere il mosto sul fondo. Viene effettuato anche un rimontaggio per omogeneizzare il contenuto.
Al momento della svinatura, il 30% circa del liquido è destinato alla produzione del rosato.
Solo la parte migliore, quella del liquido dal bel colore corallo, ottenuta per alzata del cappello, viene trasferita nel secondo gruppo di contenitori in cemento dove fermenta a temperature controllata di 18 gradi.
Per il Mjero Rosato la fermentazione dura circa 7/8 giorni, quindi è trasferito e stoccato in acciaio, dove riposa sui propri lieviti per un certo tempo. Per il Cerasa, dopo 10 giorni di fermentazione, un 20% circa passa 6 mesi in barrique di rovere francese, mentre la rimanente parte è messo in acciaio.
Da notare che le barrique hanno una “tostatura a vapore”, per non marcare troppo il vino con i classici sentori speziati di vaniglia o cocco.
Le particelle da cui provengono le uve per produrre I due rosati sono diverse; per il Cerasa provengono dal vigneto di Prendico, in Agri di Alezio, si tratta quindi di un vero e proprio cru. La parte di mosto non utilizzato, è destinato alla produzione di rosso sfuso.
Passiamo ora ai rossi: Mjero Rosso, da negroamaro in purezza, allevato ad alberello nella zona di Tuglie, Sannicola e Alezio. Resa per ettaro contenta entro i 70 quintali e macerazione a contatto con le bucce di 7/8 giorni.
L’affinamento avviene in parte (70%) in acciaio e in parte in (30%) in piccolo caratelli di rovere francese per circa un anno. Dopo l’assemblaggio, ci sono ulteriori 6 mesi di riposo in bottiglia.
Poi abbiamo il Grecantico, sempre da negroamaro in purezza. Questo vino è prodotto dalle vigne più giovani e affina in acciaio per 6 mesi e poi ulteriori 3 in bottiglia.
Lo Spano viene prodotto esclusivamente nelle annate più favorevoli nei vigneti del comune di Sannicola, questo è il loro vino di punta, prodotto solo nelle grandi annate e che vuole collocarsi come un grande rosso da lungo invecchiamento.
Poi troviamo il “Primiter”, da uve primitive, coltivate nel vigneto in località Lobia (BR), molto più a nord di Tuglie, dove è ubicata l’azienda.
Il primitivo è un vino molto diverso dal negroamaro.
Intanto risulta più difficile da vinificare; Marco, il cantiniere ci spiega che è quasi “marmellatoso”. Inoltre è più esuberante, ‘ruffianò, nasce per farsi apprezzare da tutti, mentre il negroamaro è più da capire, degustare con attenzione per poterlo apprezzare nella sua ampiezza e complessità. Anche come longevità, in genere ci possiamo aspettare un’evoluzione intorno ai 6/8 anni per un primitivo, mentre si possono raggiungere i 20 anni per il negroamaro.
Per quanto riguarda le pratiche di cantina, relativamente ai solfiti, ci spiegano che vengono usati in quantità minimale, grazie al fatto di lavorare con estrema attenzione in vigna, garantendo la massima salubrità del prodotto iniziale. Inoltre, controllando e analizzando le quantità di solfiti ad ogni passaggio, sono in grado di reintegrare la sola quantità necessaria. Ciò gli permette di mantenersi in media entro i 100 mg/l di solforosa.
Degustando i Vini di Michele Calò e Figli
Passiamo ora alla degustazione dei vini, partendo dai due rosati.
Il Mjere Rosato ha un bel colore cerasuolo, di grande impatto e colpisce per i profumi fragranti di ciliegia e lampone, oltre alla sua freschezza gustativa unita alla delicata mineralità. Completamente secco. Ottimo su paste e carni bianche di media elaborazione.
Anche il Cerasa ha un accattivante color corallo rosa, caratterizzato da un sapore più rotondo, più morbido, sempre però sostenuto da una bella acidità. Rispetto all’altro lo abbinerei anche a pesci in umido o zuppe di pesce.
Per quanto riguarda i rossi, si tratti di due mondi diversissimi. Il Mjere Rosso, da negroamaro, è molto elegante, al naso colpiscono i frutti di bosco, le viole e la sfumata mineralità.
Al gusto presenta un tannino gentile e una buona persistenza.
Il Primiter, da primitivo in purezza, è come ce lo aspettavamo, molto fruttato e morbido, l’alcol è molto ben integrato, e i suoi 14 gradi non si sentono affatto. Struttura e forza ottimale non lo fanno essere un body builder tra i primitivo.