La storia di Tufo, comune in provincia di Avellino abitato da poco meno di mille anime, nasce da molto lontano. Il nome Tufo comincia ad apparire nei documenti associato al nome del principe longobardo Aione II, intorno alla seconda metà del secolo IX d.C. Questo condottiero, nel corso di uno dei suoi rientri a Benevento, percorrendo la valle del fiume Sabato, decise di edificare sulla collina posta alle spalle di Tufo un fortilizio per il controllo e la difesa di tutta la valle del Sabato.

La torre fortificata, prese il nome del principe e si chiamò Torre di Aione (Turris Aionis), divenuta successivamente Torrioni, paese confinante con Tufo, che sorge in posizione più elevata, sul versante destro della valle, alla testa di un vallone boscoso che confluisce nel fiume Sabato a monte di Altavilla Irpina.

In epoca più recente, nel 1647, Scipione di Marzo lasciò il suo paese natale di San Paolo Belsito vicino a Nola per fuggire alla peste che imperversava e si rifugiò a Tufo, dove iniziò la costruzione delle sue cantine. E qui portò per la prima volta un vitigno bianco locale, all’epoca chiamato Greco del Vesuvio oppure Greco di Somma, che rese celebre nel mondo il piccolo paese irpino: il Greco. L’uva venne presa nei dintorni del Vesuvio, e arrivò successivamente anche nell’aversano. Va infatti ricordato che Greco e Asprinio di Aversa condividono lo stesso biotipo.

Scipione di Marzio diventò così il creatore del vino Greco di Tufo. Oggi il Greco di Tufo è una delle quattro DOCG campane, insieme a Taurasi, Fiano d’Avellino e Aglianico del Taburno. Si nota subito come i tre quarti delle denominazioni di origine si trovino proprio in Irpinia, che si conferma territorio particolarmente vocato alla produzione vinicola italiana.
Il disciplinare del Greco di Tufo, permette la produzione in altri sette comuni, oltre a Tufo: Altavilla, Chianche, Montefusco, Petruro, Prata di Principato Ultra, Santa Paolina, Torrioni. Ma bisogna dire che, forse escluso Torrioni, che si trova sullo stesso versante di Tufo, il vino prodotto altrove ha caratteristiche meno nette, meno saline, minerali, e più fruttate. I terreni sono diversi, una volta attraversato il fiume Sabato: più sciolti, e l’esposizione ovviamente cambia completamente. Ciò incide nettamente sul prodotto finale.

Ma continuiamo con la saga di Scipione di Marzo, che intorno al 1648 prese possesso dei cunicoli medievali delle mura di cinta del paese dove installò la cantina e il palazzo di Marzo che oggi costituiscono il patrimonio architettonico dell’Azienda.
Site nel centro del paese, le Cantine e il Palazzo sono una parte integrante delle mura di cinta originarie del paese. Sopra la Cantina, il Palazzo fortificato seicentesco è caratteristico dello stile architettonico dell’epoca. Le cantine sono costituite da una serie di grotte e cunicoli scavati nel tufo che permettono di mantenere una temperatura costante tutto l’anno. La struttura della cantina su un dislivello di più di 20 m permette l’uso della gravità per lo spostamento del vino e del mosto, in questo modo traumatizzando il meno possibile il mosto durante il processo di vinificazione.

La visita al Palazzo e alle cantine è un tuffo nel passato, con stampe dei primi del novecento che raccontano la storia di Tufo e delle sue miniere, dell’emancipazione femminile e dei salari importanti dei dipendenti. E poi troviamo tutti gli strumenti usati in cantina nel passato: tini, bascule, tappatrici, pompe, ma anche un vecchio attrezzo (che oggi non potrebbe essere utilizzato) per aggiungere l’anidride carbonica dopo il degorgement degli spumanti.

Nel tempo i di Marzo si affermarono sempre più nella zona e accrebbero i loro possedimenti terrieri. Tutto tace fino al 1866, quando, si racconta che Francesco di Marzo, mentre era a caccia, a cavallo, sulle sue terre, vide dei pastori che bruciavano delle pietre per riscaldarsi.

Esaminando questa pietra Francesco di Marzo vide che si trattava di un pezzo di zolfo trovato sulle sue terre. Con questa scoperta, la famiglia di Marzo iniziò un’importante attività mineraria di zolfo naturale essenziale all’agricoltura che riforniva gli agricoltori della zona e che diede lavoro a più di 500 dipendenti fino all’inizio degli anni 1980 quando le miniere si esaurirono. Ancora oggi i vecchi stabilimenti di trasformazione dello zolfo sono un punto di riferimento di architettura industriale ottocentesca che viene visitata regolarmente da studenti di architettura.

Ma la saga dei di Marzo non si esaurisce qui: un ruolo fondamentale è stato svolto da Donato di Marzo, deputato e senatore tra il 1880 e il 1911, per lo sviluppo della ferrovia a Tufo e in tutta la regione.

Un altro nome celebre della famiglia di Marzo è Alberto, anch’esso negli anni venti fu deputato alla camera ed è ricordato anche come un grande sportivo e pilota di corsa automobilistica, nonché organizzatore della corsa automobilistica “Principe di Piemonte“.

Ritroveremo tutti questi nomi nelle etichette più famose della cantina, le DOCG, Greco di Tufo, Fiano di Avellino e Taurasi: Franciscus, Albertus e Donatus.

I di Marzo sono un’istituzione di Tufo, e oggi, dopo un po’ di anni passati un po’ in sordina, sono tornati di nuovo prepotentemente alla ribalta tra i migliori produttori del luogo. Nel recente passato le cantine sono passate sotto il controllo della famiglia di Somma, diretti discendenti diretti dei di Marzo. Il deus ex machina dell’Azienda è Ferrante di Somma che ha lanciato la nuova filosofia dei vini dell’azienda. Alla cortesia, la determinazione e la gentilezza, unisce competenza e un pedigree internazionale di altissimo livello, avendo studiato commercio dei vini in Borgogna e vissuto a lungo in Francia, Inghilterra e Russia.

L’azienda Di Marzo produce oggi tra le 100 e le 150 mila bottiglie, a seconda dell’annata, in quanto il livello qualitativo non è mai barattato con la quantità prodotta. Gli attuali possedimenti raggiungono i 23ha, per l’80% coltivati a Greco e la rimanente parte ad Aglianico.

Tufo è caratterizzata da terreni ricchi di argilla, ma soprattutto di zolfo, sia di origine fossile sia vulcanica. E mineralità sulfurea la si trova nettissima nel bicchiere.

La produzione dell’azienda è basata su tecnologie innovative, come ad esempio una pompa peristaltica, che permette lo spostamento del mosto senza causare traumi al prodotto. Si usa esclusivamente acciaio per la fermentazione dei bianchi, e la piccola barricaia è lasciata per il solo affinamento dell’aglianico. Oltre ai vini “classici”, troviamo anche anche uno spumante metodo classico, “Anni Venti” e uno charmat, “Tufaniello”, entrambi prodotti da Greco. E poi troviamo le romantiche pupitre e le cataste di bottiglie, che stanno lì a riposare placide per oltre 36 mesi sui propri lieviti. Produzioni attuale, sulle 3000 bottiglie/anno.

Dopo la visita nella cantina, passiamo in un locale, una specie di archivio storico, dove troviamo documenti dei primi dell’800, fatture, manuali, prescrizioni: insomma camminiamo nella storia dei di Marzio e di Tufo.

Dopo la visita al palazzo e alle cantine, ci avviamo alla degustazione, e dove ci limitiamo a provare i vini della linea “Cantine Storiche”. Il greco, Franciscus, il fiano, Donatus, il Taurasi, Albertus e l’aglianico DOC Irpinia, che ci colpisce particolarmente per la sua immediatezza, che quasi ci fa dimenticare di bere un aglianico.
Che bella scoperta! Il Greco è netto, tagliente, di un’acidità “dal collo lungo” come cita uno dei maestri della degustazione italiana e caratterizzato da una mineralista’ chiara e piacevolissima.
Credo proprio che questa bottiglia incarni lo spirito di Ferrante, deciso, chiaro e diretto. Il Fiano, al suo confronto, è molto più suadente, fruttato e di facile beva. Tuttavia, tutte queste bottiglie, si bevono con piacere e, come le definisce Ferrrante, sono “bottiglie da un quarto d’ora”, perché’ quello è il tempo che durano a tavola.

La visita alle Cantine di Marzo a Tufo finisce, ma dispiace lasciare questo edificio storico che ha fatto la storia di un paese e di un vino che ci invidiano in tutto il mondo.

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