L’incontro con Angelo Muto, il patron di Cantine dell’Angelo, è un’altra pietra miliare della visita a Tufo. Si percepisce dal primo istante che ama la sua terra e ne è giustamente orgoglioso.

Si definisce “un agricoltore”, e la terra la conosce bene, tanto e vero che immediatamente ci inizia a spiegare come è fatto il paese di Tufo, come sono dislocati terreni, le forme di allevamento, la morfologia e il clima della zona. E conosce praticamente ogni palmo di quel territorio, così vocato per la produzione del Greco.

Intanto ci fa notare che Tufo e’ formato da tanti piccoli appezzamenti; e c’è una ragione storica, legata al fatto che nel passato l’agricoltura integrava e compensava il lavoro in miniera. Ognuno aveva un piccolo terreno che coltivava per il proprio fabbisogno di famiglia.
Ecco anche la ragione perché troviamo ancora una forma di allevamento sconosciuta altrove; la raggiera avellinese. Forma di allevamento alta che si sviluppa radialmente, ma con lo scopo primario di permettere la coltivazione di altro, sotto di essa.
Oggi è praticamente usata poco, e il guyot l’ha soppiantata per ragioni di praticità. D’altra parte la coltivazione dei terreni a Tufo è già talmente impegnativa che semplificarsi un po’ la vita non guasta.

I terreni qui, poggiano sulle vecchie miniere di zolfo, ed è frequente trovare rocce e parti di minerali cristallizzati che affiorano e che rallentano enormemente le attività in vigna. In più i pendii, che raggiungono anche i 450/500 metri, complicano ulteriormente le coltivazioni. Si assiste anche all’insediamento delle grandi case vinicole, come Feudi di San Gregorio o Mastroberardino, che hanno recuperato e messo a dimora appezzamenti impervi e non sfruttati nel passato. E’ il caso di Cutizzi, da cui prende il nome il cru dei Feudi.

Si assiste anche, purtroppo, all’abbandono di piccoli lotti da parte dei vecchi del luogo, i cui figli non seguono le orme dei genitori.
Di solito, i confinanti rilevano questi piccoli terreni allo scopo di salvaguardare e preservare un patrimonio cosi raro e prezioso Angelo rappresenta la terza generazione della famiglia impegnata nei filari, e a difendere una storia e una tradizione che ci rende famosi ovunque nel mondo, con un vino superlativo.

Praticamente coltiva uve di solo Greco, piantate in cinque ettari di vigna, collocati proprio sopra una parte della antiche miniere di zolfo nelle quali nell’800 arrivarono a lavorare quasi mille persone.
La zona delle vigne di famiglia si chiama Campanaro, quella che ha dato il nome al famoso bianco dei Feudi di San Gregorio (blend di Greco e Fiano) L’agricoltura di Angelo è a basso impatto, proprio come quella del nonno e del padre, molto attenta alla salubrità del suolo, viene da dire già di per se ricchissimo di zolfo.

Il colore dei suoi vini è giallo paglierino carico, tendente al dorato, con un po’ di frutta e tanta mineralista, al naso abbastanza intenso, in bocca ha un ingresso abbastanza morbido, la struttura poggia su basi molto solide, interessante tutta la beva sostenuta dalla freschezza. La sapidità spinta, la mineralità, la freschezza, ne fanno un bicchiere assolutamente tipico, da provare e, magari, da conservare per qualche anno.

Degustare i vini di Angelo, insieme a lui è ancora una volta la prova della sua capacità, l’amore per il proprio lavoro e quell’ospitalità del sud che difficilmente si trova altrove. Il primo, il “Vino delle Miniere”, nasce da un terreno che poggia letteralmente sulla vecchia miniera, tra i vecchi aeratori di questa e la polveriera che domina dall’alto.

Giallo dorato, fresco, di spiccata sapidità, testimonia un vino creato con la sapienza di chi vuole a tutti i costi preservarne l’origine, grazie al quale poter raccontare a tutti la storia incantevole di questi luoghi e della vita che vi si anima. Produzione media intorno alle 1800 bottiglie/anno.

Il secondo vino, “Torre Favale”, nasce da un piccolo cru in cima a un pendio, sui 400 metri slm in un posto panoramico e molto irto, caratterizzato da un terreno di struttura ciottolosa e fortemente segnato dalle emanazioni sulfuree del sottosuolo. Un grandissimo vino, subito premiato con i 5 grappoli, un fuoriclasse per grande qualità della materia prima, freschezza, eleganza e mineralità fuori dal comune.

Raffinata la presenza olfattiva raccontata da un autentico ed evidente timbro minerale e sulfureo, intercalato a toni più classici di agrumi e erbe aromatiche.

Piccola la produzione, che si attesta sulle circa 2000 bottiglie/anno. Facciamo una mini verticale e notiamo insieme come il risultato cambi ogni anno, ogni volta mostrando un carattere proprio, anche se sempre inquadrato nell’eleganza e nella tipicità del Greco di Tufo.
Molto bella l’etichetta e il rilievo in braille per i non vedenti.

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